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In edicola il nuovo numero di Meridiani Montagne dedicato alle Alpi Veglia, Devero e Valle Antrona

È in edicola il nuovo numero di Meridiani Montagne “Alpi Veglia, Devero, Valle Antrona”. Ecco l’editoriale del direttore Marco Albino Ferrari:

 

L’estremo nord del Piemonte, la punta terminale che si incunea tra i massicci elvetici del Vallese e del Ticino. È l’Ossola, con le sue vallate laterali, spesso ripide, impervie, e già più volte entrate nelle pagine di Montagne: fin dal numero di marzo di undici anni fa.

E oggi siamo ritornati tra queste cime, segno che le sentiamo particolarmente affini al nostro spirito. «La solitudine, la fatica e il silenzio sono i veri doni della nostra montagna, i caroselli sciistici li troviamo anche altrove» afferma lo scrittore locale Alberto Paleari nel suo racconto dedicato all’alpinismo dal sapore antico (vedi pag. 80).

Uno spirito pionieristico che qui ancora si coglie, per esempio, salendo sulla Cresta di Saas lungo le tracce di William Cozens-Hardy. Quarant’anni fa, nel 1978, nasceva il Parco naturale dell’Alpe Veglia, che ha fatto scuola in quanto prima area protetta regionale del Piemonte. Oggi, Veglia, Devero e Alta Valle Antrona formano le Aree protette dell’Ossola, una rete a tutela di ambienti molto diversi tra loro. Si passa da spicchi di vera wilderness d’alta quota come in Val Loranco, al paesaggio culturale del Devero, divenuto il modello di un turismo alpino consapevole e attratto dalla sobrietà dei rifugi e dalle gite con le ciaspole, piuttosto che dalle vocianti autostrade di neve dei grandi comprensori.

Piccolo Canada” sono state chiamate queste conche ricoperte di estese foreste di conifere e frequentate, come l’Alpe Veglia, fin dal Mesolitico. Era il 1986 quando l’archeologo Angelo Ghiretti portò alla luce alcuni manufatti di origine preistorica, a quota 1750. E, con tale consapevolezza, ancora più magici ci appaiono i luoghi scelti per la prima volta da un misterioso cacciatore-raccoglitore dell’antica Età della pietra. Ci sono poi volute qualcosa come 150 generazioni, tremila anni, perché l’uomo imparasse a essere stanziale, perché scegliesse quest’alpe e la trasformasse nella propria dimora stagionale. Alpe che oggi, anche grazie al parco nato quarant’anni fa, ritroviamo in gran parte intatta.

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