AlpinismoK2 invernale

K2, cronaca di una rinuncia

Chissà se Krzysztof Wielicki ci racconterà mai i veri motivi che hanno portato alla rinuncia di questa mattina. Non sono certo solo quelli, piuttosto scontati per un’invernale al K2, enunciati nel comunicato che hanno portato alla decisione di “porre fine all’azione sul K2”.

Denis Urubko che se n’è andato in disaccordo sulla gestione della spedizione e sulle date dell’inizio e fine inverno; la scelta della via Cesen; l’incidente per caduta di sassi prima a Bielecki poi a Fronia, costretto a rientrare in Polonia; il cambio di via e il dover ricominciare sullo Sperone Abruzzi; il soccorso al Nanga Parbat della Revol e l’abbandono di Tomek Mankiewicz; il cordone ombelicale con Janusz Majer, organizzatore in patria. Tutto ciò ha indebolito giorno dopo giorno la forza del gruppo e la determinazione di quello che era a fine dicembre dello scorso anno il credibile “squadrone polacco”.

La forza potente del K2 e dei suoi elementi aveva lasciato aperto degli spazi con giornate “possibili” a gennaio, tant’è che avevamo scritto che forse a qualcuno rodeva pensando che una partenza anticipata della spedizione di un paio di settimane avrebbe potuto far guadagnare quota fin da gennaio; ma anche a metà febbraio il K2 parve divenire benevolo per qualche giorno, tanto che Urubko, con Bielecki a ruota, qualche pensiero di una fuga verso l’alto la fece, cosa che attuò di seguito.

Ma con i se non si arriva da nessuna parte e la prova della verità per gli alpinisti polacchi è arrivata oggi.

La “consultazione” effettuata ha sentenziato che tornano a casa, che non ne hanno più per un ultimo tentativo. Consultazione? Di chi? Krzysztof Wielicki, Janusz Gołąb, Adam Bielecki, Marek Chmielarski, Marcin Kaczkan, Artur Małek, Piotr Tomala e Janusz Majer.

Questi alpinisti hanno deciso che da qui al 21 marzo ci sarà solo una finestra meteo da sfruttare e che non basta; che le corde in parete vengono ricoperte dalla neve come peraltro accade anche d’estate; che l’acclimatamento è incompleto per tutti meno che per Adam e che quindi un tentativo alla vetta sarebbe un azzardo e che le valanghe sono un reale pericolo con 80 cm di neve fresca.

Meglio lasciar perdere, è vero!

Un’occasione importante persa, che ci racconta che anche l’alpinismo si è evoluto, ha sviluppato pensieri, tecniche e strategie nuove, applicate almeno in parte, in altre occasioni, anche da alcuni degli alpinisti presenti al campo base del K2. Riportare l’orologio indietro agli anni cinquanta e sessanta è sbagliato, non in assoluto, in alpinismo ognuno fa quel che meglio crede, ma dal punto di vista della possibilità di ottenere un buon risultato, apprezzabile sul piano sportivo, dell’estetica e dell’etica alpinistica.  

Insomma, il piacere di un’impresa moderna sempre più lo si gusta se gli ingredienti sono genuini e ben amalgamati ed equilibrati, se ci lasciano felici e non appesantiti, se persino ci divertono, magari perché soddisfano il nostro desiderio e la nostra passione per un’attività, uno sport, un modo di vivere e una natura che amiamo.

Vale per il calcio, per il ciclismo, per tutti gli sport e anche per l’alpinismo che non sarà uno sport ma ci assomiglia molto.

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2 Commenti

  1. CVD!
    Obiettivamente,a parte Urubko, sembrava più un gruppo in gita vacanza che un gruppo di alpinisti motivati a salire la montagna e, tutt’ora, non ho capito se fosse la cauta gestione di Wielicki (forse le morti sul Broad Peak di un pò di anni fa l’hanno reso più cauto) a tenerli frenati o gli alpinisti stessi che non si sono impegnati abbastanza. Comunque sia, mai come quest’anno, le possibilità per salire la montagna si sono dimostrate così favorevoli

  2. Senza girargli intorno:
    . non ci doveva essere il legame politico;
    . chi era sul posto doveva poter gestire;
    . dovevano sinceramente accettare Dennis.
    E sarebbe nel sacco.
    Hanno preferito: meglio niente. Da mattti.

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