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Politica e Montagna: Matteo Salvini e la montagna al centro

Manco poco ormai alle elezioni politiche, occasione nella quale il popolo sarà chiamato a votare scegliendo i propri rappresentanti al governo del Paese. Una scelta che può apparire difficile, soprattutto a chi vive in quelle aree spesso ritenute marginali, quelle zone che a molti paiono ignorate dalla politica nazionale. Ecco allora un nuovo appuntamento con “voci di montagna” per capire se oltre le parole e le promesse di propaganda elettorale esiste uno spazio di interesse e interazione con il territorio montano. Diamo quindi oggi la parola al segretario federale della Lega Nord Matteo Salvini.

Per l’intervista a Dario Violi, del M5S, qui
Per leggere le interviste alle altre “voci di montagna”, qui

 

L’Italia è un territorio di montagne, crede nella necessità di una politica “montanara” a livello nazionale? 

Assolutamente si, purché finalizzata a dar voce, spazio, dignità e futuro a questi territori, perché diventino davvero competitivi ed escano dalla mortificazione e dall’impoverimento causati dalla scarsa attenzione e dagli interventi inappropriati, miopi e assistenzialisti che sono stati attuati fino ad oggi. 

Il ragionamento è semplice: l’Italia è un Paese ricco di montagne (35,2 % del territorio) e di colline (il 41,6% del territorio), dove vive il 51,2% degli italiani e dove si trovano la maggior parte dei piccoli comuni (ben oltre il 50% del totale dei comuni italiani) e delle comunità che esprimono e conservano unicità ambientali, territoriali, paesaggistiche, artistiche, culturali, ed enogastronomiche che il mondo intero riconosce, apprezza, cerca e, spesso, ci invidia.  

Territori con questi capitali ancora oggi sono classificati e trattati come aree “marginali” o “svantaggiate” poiché impietosamente giudicate in base al confronto tra le loro performance produttive rispetto a quelle delle aree urbane e industrializzate, sulle quali negli ultimi 50 anni si sono concentrati sforzi e risorse e si sono sviluppati i modelli economici e di sviluppo considerati, a torto, gli unici possibili per competitività. Negli ultimi 50 anni si sono forzatamente applicati questi stessi modelli di sviluppo a tutti i contesti territoriali, a prescindere dalle specificità e dalle “vocazioni” delle diverse aree territoriali. Questa forzatura è stata la catastrofe per le montagne italiane. Le attività tradizionali, vocate, sostenibili, sono state perlopiù sradicate, rimpiazzate a forza da attività industriali poco coerenti con i luoghi, le tradizioni, i costi e i mercati. L’esempio emblematico è quello dell’agricoltura di montagna, in particolare della zootecnia per la produzione di latte, che spesso oggi viene praticata in montagna con gli stessi criteri e modelli della pianura, e che così non può essere competitiva,  perché il prodotto che si ottiene non si distingue da quello di pianura (le vacche sono alimentate con mangimi sia in pianura che in montagna) e viene pagato come quello di pianura, mentre i costi di produzione sono decisamente maggiori quindi l’attività non è sostenibile se non finanziata da fondi pubblici. L’agricoltura di montagna si sostiene solo se praticata secondo la tradizione, ovviamente con metodi e strumenti moderni, se è multifunzionale, e finalizzata a produrre prodotti unici, di qualità superiore, che si distinguono e vengono pagati per quel che valgono e rappresentano.

L’errore di metodo è trattare la montagna come se non fosse montagna, applicare norme, provvedimenti e utilizzare strumenti e metodi che non tengono conto della specificità montana e delle sue risorse.

Elaborare una politica nazionale per la montagna significa conoscerne e riconoscerne concretamente la specificità, ammettendo la necessità di sviluppare norme, provvedimenti, interventi, programmi che abbiano al centro dell’attenzione chi vive in montagna e il territorio montano, perché siano garantiti servizi di base ai cittadini e alle categorie sensibili (gli anziani, che aumentano di numero), opportunità di formazione e di lavoro qualificate e qualificanti, moderne e gratificanti. I giovani stanno guardando alle montagne con interesse crescente, e alcuni stanno tornando e andando a vivere in montagna proponendo nuove attività imprenditoriali nel settore agricolo, turistico, dei servizi. La politica nazionale per la montagna deve favorire questo processo, che, a certe condizioni, può dare opportunità occupazionali ai giovani che, oggi in Italia, sono una categoria paradossalmente debole soprattutto per quanto riguarda le prospettive di futuro professionale.

Il vantaggio è dell’intera società, che in cambio ne avrebbe nuovi prodotti, di qualità, nuova ricchezza e competitività e un territorio ben gestito e ben governato, attrattivo, stabile e sicuro.

I montanari sempre più lamentano la scomparsa di servizi dalle terre alte. Cessazione di attività che rendono, alla fine, invivibili i paesi in quota. Per lei questa è una perdita culturale?

Sicuramente, tra le montagne si sono sviluppate e sono cresciute le radici di una cultura rurale e contadina di popoli dalla tempra forte e operosa, che hanno avuto la capacità di risollevare il paese da guerre e povertà. Un’eredità importante, da tramandare con orgoglio, da riconoscere come ricchezza e da “ostentare” per distinguersi e distinguere, e da raccontare perché diventino elemento di attrazione capace di rendere competitive attività altrimenti economicamente insostenibili. Abbiamo modelli vincenti in questo senso. Si pensi all’Alto Adige, che della ruralità montana ha fatto un vero e proprio asset economico strategico, che sostiene un incoming turistico annuale paragonabile a quello della città di Roma. Si tratta, ancora una volta, di riconoscere i valori e le unicità e di definirne una strategia di valorizzazione. Intelligente.

La perdita comunque non è solo culturale ma anche economica, in termini di mancato reddito generabile da un’appropriata gestione e utilizzo delle risorse presenti e, soprattutto, in termini di progressivo e inevitabile degrado ambientale e territoriale che consegue all’abbandono che determina nel medio periodo fenomeni di dissesto che provocano danni, spesso gravi, a cose e persone. 

Cosa propone per andare contro allo spopolamento delle aree montane?

Investire sul capitale umano, sui giovani che vogliono vivere e lavorare in montagna. Tutte le attività che si fanno in montagna, siano esse agricole, artigianali, di servizio o altre, per essere sostenibili, vincenti e competitive devono essere di qualità e, possibilmente, uniche, innovative, creative e perlopiù coerenti con le specificità territoriali. Questo discorso riguarda anche la governance di questi territori, che, parimenti, richiede amministratori e rappresentanti del territorio consapevoli e capaci di fare e innovare, elaborare le soluzioni giuste ai bisogni specifici (comunità oggi con molti anziani, bisognosi di servizi specifici, che possono diventare opportunità di lavoro). E’ necessario quindi da un lato prevedere adeguati e specifici percorsi di formazione e di acquisizione di Know how e dall’altro avviare un programma di interventi a supporto dell’imprenditorialità giovanile – dalla concessione di proprietà pubbliche in disuso per l’insediamento di nuove imprese, alle agevolazioni burocratiche e fiscali, ad attività di tutoring nei primi anni di attività fino alla organizzazione di una rete di sportelli pubblici, anche virtuali come le app accessibili da smartphone, per consulenza e supporto alle imprese – in un quadro normativo completamente revisionato, semplice, specifico per le esigenze e le caratteristiche peculiari del territorio.  

Garantire i servizi, scuola, sanità, posta, viabilità e connettività informatica attraverso programmi specifici per questi territori, basati su strumenti e metodi innovativi e tecnologici. Oggi si parla molto di Smart Cities, bisogna ragionare anche e soprattutto di Smart Mountains, per promuovere modernità e cambiamento culturale e operativo nelle montagne. 

Molti hanno proposto i migranti come valida risorsa per combattere lo spopolamento delle terre alte. Cosa pensa a riguardo?

Che è una proposta che sottende un pensiero profondamente razzista. Chi propone queste soluzioni è anche chi considera e chiama le aree montane “marginali”, “svantaggiate” e che, perciò, ritiene inevitabile e irreversibile l’abbandono di questi territori da parte degli italiani. I migranti quindi sono esseri umani che devono “accontentarsi” di ciò che noi abbandoniamo, e sono utili perché “ripopolano”. Un ragionamento degno dei peggiori regimi totalitari, antitetico ai principi di accoglienza e integrazione che spesso vengono usati per nascondere e nobilitare idee, attività, progetti, come questo, che nulla hanno di nobile.  

Chi si occupa del governo del Paese dovrebbe preoccuparsi piuttosto di garantire servizi, opportunità e livelli di qualità della vita pressoché omogenei in tutto il territorio e per tutti i cittadini contribuenti, riducendo al minimo possibile le differenze, perché scompaiano le aree –  e quindi i cittadini –  svantaggiati, in coerenza con le politiche di coesione europee e le strategie macroregionali, come quella alpina che ci vede, come Lombardia, impegnati in prima linea.    

Questo è possibile se si definisce un serio piano di interventi specifici per garantire i servizi di base ai cittadini – coerenti con le caratteristiche del territorio e basati sull’utilizzo di tecnologia e innovazione metodologica e organizzativa – e se si applicano “regole” di gestione e utilizzo delle risorse adeguate alle specificità territoriali, in grado di trasformarle in ricchezza. 

Significa superare molte rigidità, inadeguatezze e inefficienze di sistema dando alle differenti, variegate e bellissime realtà territoriali e culturali di montagna del Paese la possibilità di esprimersi. 

Rimanere o andare a vivere in montagna deve essere una libera scelta di vita che, tra l’altro, oggi molti giovani stanno facendo, non il frutto di un atto di deportazione mascherato da intervento di accoglienza e integrazione.

 

Per leggere le altre interviste dell’appuntamento “voci di montagna”, qui. 

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7 Commenti

  1. Gli addetti ai servizi di zone montane ad alto valore turistico, ma anche altre, devono avere un supporto per l’accesso ad abitazioni( acquisto o affitto..non di ripiego ma confortevoli e a risparmio energetico..altrimenti ..non vengono o se ne vanno al piu’ presto.Esempio insegnanti , specialisti medici..forze dell’ordine.
    Ovviamente non costruendo in piu’ ma recuperando patrimonio edilizio ..obsoleto.Come in Trentino

  2. Salvini che bolla un’opinione come razzista. Un po’ come se un magnate del carbone accusasse le stufe a pellet di contribuire al cambiamento climatico. La coerenza innanzitutto.

  3. A Salvini e alla lega non frega nulla delle comunità locali, basta vedere dove sono schierati nella vicenda tav e val di susa

    1. Ma per favore uno che cantava senti che puzza arrivano i napoletani e ora prega sul Vangelo.. è il re degli ipocriti

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