Alpinismo

Matteo Zanga, fotografo sotto zero, ci racconta la sua Siberia con Simone Moro e Tamara Lunger

Matteo Zanga è appena tornato dalla lontana Siberia. Il luogo dove ha passato le ultime settimane insieme a Simone Moro e Tamara Lunger partiti con l’obiettivo, poi realizzato, di scalare in prima invernale il Pik Pobeda (3003 metri). Di certo non il picco più alto al mondo, ma sicuramente tra i più freddi.

Interessante è sapere cosa significa muoversi in un territorio così desolato come può apparire la Siberia in inverno.

Com’è iniziata questa tua esperienza siberiana?

Con Simone ho già lavorato tante volte, abbiamo un rapporto consolidato. Nell’inverno del 2012 sono anche stato con lui al Nanga Parbat e poi molte volte in elicottero per dei lavori fotografici.

Ricordo che quando mi ha contattato non c’era ancora nulla di certo. Non si sapeva ancora se si sarebbe riusciti a partire quando, per la prima volta, mi ha presentato questa sua idea nata da studi e ricerche sulla zona.

Come hai vissuto quest’esperienza?

Devo dire che è stata un’esperienza decisamente a se stante. È stato uno di quei viaggi che ti fa tornare indietro nel tempo grazie alle lunghe e difficili strade. Tutto in inverno è difficile in Siberia. Ci muovevamo sui fiumi ghiacciati in totale assenza di acqua. Bisognava fondere la neve e il ghiaccio, sempre e ovunque.

Mi è sembrato di vivere un’esperienza pionieristica, da vecchio esploratore.

Parlando poi professionalmente, da reporter, ho trovato davvero importante e soddisfacente la possibilità di vivere due settimane in un villaggio con gli allevatori seminomadi di renne.

Che rapporto avete avuto con i locali?

Decisamente un ottimo rapporto. È gente molto fiera, molto onesta, molto disponibile e fraterna. Sono territori talmente ostili che la gente deve per forza essere fraterna. Ci si deve aiutare quando uno ha bisogno, quando uno ha un problema, perché se non c’è la solidarietà si fa spazio la morte.

Faccio un esempio per spiegarmi meglio: con il furgone siamo arrivati fino ad un villaggio da 800 abitanti. Un posto dove non ci sono alberghi e allora il nostro autista ci ha ospitati in casa sua. Sono piccole cose, ma che non accadono ovunque.

Ci parli invece della meta finale, del Monte Pobeda?

Per ragioni logistiche io e Oleg (Sayfulin nda) non siamo potuti andare oltre il campo base a causa della neve fresca molto polverosa che rendeva davvero difficoltosa la progressione.

Quando siamo partiti avevamo deciso che Simone e Tamara avrebbero utilizzato gli sci mentre noi si saremmo mossi con le racchette da neve. Pensavamo che saremmo riusciti a muoverci normalmente invece, anche dopo numerosi passaggi, si sprofondava sempre fino all’anca. Probabilmente faceva troppo freddo e la neve rimaneva farinosa, non si compattava.

Dopo aver visto la situazione abbiamo valutato come muoverci. Abbiamo passato la notte in tenda a -50 poi siamo rientrati verso le case dei nomadi dove abbiamo potuto far asciugare i materiali e abbiamo avuto modo di ragionare lucidamente arrivando a capire che l’unica soluzione per portare a casa la montagna era far salire solo Simone e Tamara con gli sci.

La loro è stata un’impresa atletica molto importante. Hanno realizzato in una giornata quel che solitamente in estate si fa in tre giorni, per di più lungo un percorso da non sottovalutare nemmeno tecnicamente. 

Freddo?

Posso testimoniare che il freddo c’era per davvero. L’ho testato sulla mia pelle e sulle mie attrezzature. Se tenevo la macchina fuori per cinque minuti si spegneva e non funzionava più, nemmeno meccanicamente. Dovevo cercare di tenere tutti i materiali al caldo.

È stato per quel freddo intenso che Simone ha deciso di muoversi quando il tempo ha iniziato a mettersi brutto. Un peggioramento del meteo significa un aumento della temperatura. Quando sono arrivati in vetta c’erano circa -35 gradi.

 Non avevate difficoltà nei movimenti?

Quando ti muovi in quelle condizioni hai caldo nonostante tu sia a -30. È una situazione diversa da quella che puoi trovare su una montagna di Ottomila metri perché qui hai l’ossigeno e la tua macchina funziona bene, il tuo organismo risponde bene alla bassa temperatura. Ovviamente poi, se ti fermi, li senti tutti i -30.

La vera difficoltà della Siberia sta nel posto in sé. Se ti succede qualcosa congeli in tempo zero e i soccorsi impiegano tempo per arrivare. Servono ben più di 48 ore per avere un elicottero. Il più vicino si trova a 1300 chilometri di distanza e arriverebbe solo con il bel tempo. Noi abbiamo avuto tre giorni di bel tempo in quattro settimane di spedizione. La vera difficoltà sta in questo.

 Cosa ti è rimasto di questa esperienza?

I nomadi sono stati certamente quel che più mi è rimasto impresso. Ho condiviso volentieri la vita con loro. Quando sei li con loro ti rendi conto di quanto noi abbiamo di superfluo, di quanto sia inutile molto di quel che abbiamo e di come si possa vivere tranquillamente senza.

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7 Commenti

  1. E ci mancava anche l’intervista al fotografo ufficiale della luna di miele…Poi si parla solo del freddo, a Trepalle la settimana scorsa abbiamo avuto le stesse temperature. Perche’ non venite a intervistarci?

  2. Che ridere…gente che perde tempo a scrivere su un blog per dare dei noiosi ad altre persone accusandole di perdere tempo perche’ scrivono sul blog…che ridere. Comunque a parte tutto, secondo me e’ un po’ ingiusto che si voglia spacciare per impresa/esplorazione/alpinismo ecc ecc,un viaggio che e’ poco piu’ di un trekking, oltretutto sparando temperature folli e non certificate per fare scena. Ma ok se lo facesse uno qualsiasi di noi, ma che tutto questo lo faccia un grande alpinista come il Sig. Moro…e’ proprio brutto e un po’ disonesto. Tutto qui.

    1. Addirittura disonesto. In realtà pare che commentiate interviste che non avete nemmeno letto o ascoltato, e questo la dice lunga su quanto scriviate accecati da un livore incomprensibile e davvero fuori luogo. Zanga dice chiaramente che non essendoci carenza di ossigeno il freddo era molto più “gestibile” dall’organismo che su un 8000 , e Moro nella video-intervista racconta che il giorno di vetta sono stati fortunati perchè le temperature erano miti per il luogo. E’ molto chiaro che lo scopo della spedizione non fosse fare una salita storica. Non per questo non è interessante, per molti. Fatevene una ragione.

  3. Concordo con Nicola. Simone Moro è stato un grande dell alpinismo invernale (ha tutta la mia stima per quello che ha fatto sul G2 e sul Nanga, 2 imprese vere!). Ma ora non è che ogni montagna che scala in inverno deve diventare un altra impresa!
    Perchè allora anch’io ho compiuto l’ impresa di scalare il monte più alto della mia città in invernale!!
    Ed era febbraio..quindi 100% inverno!

  4. Ma certamente un po’ di disonesta’ di fondo c’e’…perche’ se vai in copertina su sport week con il titolo a caratteri cubitali: IL RE DEL GELO – IL MIO VIAGGIO IMPOSSIBILE SULLE MONTAGNE SIBERIANE. Con a lato il disegno del termometro che segna – 71,3°……cme si puo’ chiamare?

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