AlpinismoK2 invernale

“Il pugno di ferro” di Wielicki. Consigli per la vetta?

Credo fosse su Scandere, rivista antica di alpinismo pensato. Si raccontava di un alpinista e yogi giapponese trasferitosi in quel di Chamonix, nessuno lo vedeva scalare le montagne eppure era nota a tutti la sua raffinata bravura. Scoprirono, seguendolo di nascosto, che il suo pensiero e la concentrazione erano talmente grandi che arrampicava senza dover toccare la roccia, semplicemente mettendosi davanti alla parete e salendo con lo spirito.

Ora, le invernali himalayane forse son troppo complesse per essere risolte solo con la forza del pensiero, anche se pare che la prima regola per arrivare sul K2 in inverno sia quella di concentrarsi, ma non già sulla cima (sulla vittoria, si diceva una volta) o sulla competizione (con altri pretendenti?), ma sulla sopravvivenza. Supposto che un certo Darwin già considerava la lotta per la sopravvivenza un atteggiamento competitivo, concentrarsi sulla sola sopravvivenza pare limitativo come atteggiamento (anche se immenso è il beneficio che ne deriva) per portare piedi umani fin sull’ultimo metro di una montagna di 8611 metri in inverno.  

La seconda virtù consigliata e obbligatoria è quella della pazienza e qui la saggezza e l’esperienza dei “consigliatori” vengono fuori tutte. Aggiungere l’essenzialità dei pensieri e delle azioni, che con la pazienza va a braccetto, pare doveroso.

Il terzo consiglio è di credere nella scienza predittiva, nel senso metereologico. Se Dio è oggetto di fede, talvolta traballante a causa dell’umana debolezza, il meteorologo di fiducia è invece certezza matematica. Se una “finestra” si apre, si apre di sicuro e splende il sole. E dunque è a lui solo che giunti al campo base bisogna dedicale stupa e puja (ed anche un telefono satellitare).

Tutto qui.

Riguardo la spedizione polacca partita per il K2, trattasi poi di spedizione pesante, ancorché nazionale, di squadra, come una volta. Certo questa scelta si porta appresso qualche critica, anche amica, proprio per l’“impostazione filosofica”, soffusa ma aspra; ma si capisce che dovendosi garantire il massimo delle possibilità di successo, non si poteva far diversamente.

Se la massima probabilità possibile di successo dev’essere garantita, c’è quindi anche da consigliare al bravo ed espertissimo Krzysztof Wielicki, capo spedizione, che prenda con sé non solo le carote, ma anche il bastone. Ci son teste calde in quel gruppo a cominciare da Denis Urubko che, secondo quanto è stato dichiarato recentemente da chi lo conosce bene, pensa e agisce un po’ rozzamente, da militare russo. Viene da pensare a Desio a cui glie l’han menata mica poco per il piglio militare con il quale aveva gestito la spedizione al K2 del ‘54. Ora si consiglia lo stesso metodo “autoritario e fascista” a Wielicki. Boh.

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