Cronaca

Rigopiano dopo il rinvio a giudizio – di Stefano Ardito

di Stefano Ardito

Ci sono buone notizie per cui è legittimo esultare, altre da accogliere con silenzio e rispetto. Quella arrivata giovedì scorso da Pescara, con l’elenco dei rinvii a giudizio per la valanga dello scorso gennaio che ha ucciso 29 persone a Rigopiano, fa parte del secondo gruppo. E invita chi frequenta le montagne d’Abruzzo, e chi se ne occupa per mestiere, a una riflessione attenta. 

Il procuratore di Pescara Massimiliano Serpi e il sostituto Andrea Papalia hanno spedito i loro inviti a comparire a 23 rappresentanti di tutte le istituzioni coinvolte. L’elenco dei reati contestati è pesantissimo. Comprende omicidio colposo, lesioni colpose, abuso d’ufficio, falso, morte e lesioni come conseguenza di altro delitto, abuso edilizio e omissione di cautele antiinfortuni.

Il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta, i suoi predecessori Antonio De Vico e Massimiliano Giancaterino e alcuni funzionari del Comune sono indagati per aver consentito di costruire l’albergo in una zona dove il pericolo di valanghe era provato.  

Per la mancata chiusura della strada per Rigopiano, e il pessimo funzionamento dei servizi di sgombero dalla neve, sono indagati il presidente della Provincia di Pescara Antonio Di Marco, il comandante della polizia provinciale Giulio Honorati e altri funzionari provinciali addetti alla viabilità. 

Vengono accusati per il tardivo avvio dei soccorsi (e quindi per omicidio e lesioni colpose) il prefetto Francesco Provolo, da poco trasferito a Roma, e il suo capo di gabinetto. Con loro la funzionaria che ricevette una telefonata di allarme, confuse la valanga di Rigopiano con un evento precedente, e rispose con uno sprezzante “la mamma degli imbecilli è sempre incinta”. 

Completano l’elenco degli indagati da parte della Procura di Pescara cinque dirigenti della Regione Abruzzo, Pierluigi Caputi, Carlo Giovani, Sabatino Belmaggio, Vittorio Di Biase ed Emidio Primavera. Sono tutti accusati di non aver mosso un dito per realizzare la Carta Regionale delle Valanghe, prevista da una legge del lontano 1992. 

Non si capisce perché, su questo punto, non compaiano nel registro degli indagati anche i politici della Regione Abruzzo ai quali spettava finanziare e avviare la Carta. Il governatore Luciano D’Alfonso e gli uomini della sua segreteria, però, potrebbero essere chiamati a giudizio lo stesso. 

In alcune telefonate all’ufficio viabilità della Provincia, intercettate dal NOE dei Carabinieri, allegate agli atti dell’inchiesta e rivelate dal Messaggero di ieri, sarebbero state fatte pressioni per inviare i pochi spazzaneve funzionanti verso Abbateggio e altri Comuni della Majella, e non in direzione di Rigopiano. 

Ora le inchieste andranno avanti, gli indagati si potranno difendere, e le responsabilità individuali saranno definite solo alla fine del processo. La lista dei 23 indagati, e degli enti che rappresentano, dimostra però una realtà innegabile. La Procura di Pescara, a seguito di una tragedia evitabile, ma che ha ucciso ben 29 persone, ha messo sotto accusa l’intera gestione della montagna in Abruzzo.     

Più volte, anche su questo sito, ho criticato la pessima gestione da parte degli enti pubblici abruzzesi degli impianti di risalita come la cabinovia dei Prati di Tivo, che nella scorsa estate ha aperto con un mese e mezzo di ritardo. 

Più volte, non da solo, ho criticato il disinteresse per le strutture ricettive in montagna, dai rifugi oppressi da regolamenti astrusi (vedi la vicenda del Franchetti) all’albergo di Campo Imperatore che ormai è chiuso da oltre un anno.  

L’estate scorsa, da Fonte Vetica al Morrone, una fetta importante dei pascoli e delle foreste protette d’Abruzzo è andata a fuoco. Hanno pesato il caldo record e i problemi legati all’abolizione del Corpo Forestale dello Stato (una questione nazionale, ma che nella “regione verde” ha pesato più che altrove), ma anche gli scarsi controlli dei Parchi sui gitanti e i loro fuochi da pic nic. 

L’ottima notizia della sistemazione delle ferrate e di una parte dei sentieri del Gran Sasso è stata in parte contraddetta dal mancato intervento sull’itinerario più pericoloso di tutti, il Sentiero del Centenario, per litigi burocratici tra gli enti territoriali interessati. 

E poi c’è la questione dei divieti. Alcuni dei sentieri finalmente messi a posto e segnati sul Gran Sasso, anche se classici, attraversano zone dove dei decreti dei Comuni vietano da tempo il transito tutto l’anno. Sta iniziando la stagione invernale, e con la neve i problemi sono ancora più seri. 

Pasquale Iannetti, guida alpina di Teramo, aveva firmato molti anni fa la perizia che indicava come pericolosa e da chiudere d’inverno la strada di Rigopiano. Da settimane, sui social e in incontri pubblici, Iannetti attacca i divieti di qualunque attività fuoripista che costringono i privati a diventare clandestini, e impediscono il lavoro degli accompagnatori e delle guide. 

Uno di questi divieti riguarda l’intero territorio comunale dell’Aquila, che include buona parte del Gran Sasso. Un analogo provvedimento del Comune di Fano Adriano ha costretto alla chiusura fino al prossimo maggio (il comunicato del gestore è di sabato scorso) il rifugio del Monte, bella meta di ciaspolatori e scialpinisti. 

Non sappiamo ancora se le strade per il Lago Racollo e Fonte Vetica verranno spazzate dalla neve. Oppure se, lasciandole chiuse, la ex-Provincia dell’Aquila continuerà a tartassare escursionisti e scialpinisti (molti arrivano dalla Germania e dall’Austria), e con loro albergatori e ristoratori di Santo Stefano di Sessanio, Castel del Monte e Calascio. 

In molte zone dell’Abruzzo, in questi anni, i terremoti hanno colpito i residenti e i visitatori della regione. Gli ultimi casi, quelli di Campotosto e Castelli, sono sotto gli occhi di tutti. 

La tragedia di Rigopiano, la mancanza della Carta delle Valanghe, le strade aperte dove è necessario chiuderle e chiuse dove possono e devono essere aperte, come i divieti inutili contro le attività fuoripista, sono invece il segno di un Abruzzo che vuole male a sé stesso. L’unica regione di montagna in Europa dove la neve, invece che uno strumento di sviluppo e ricchezza come altrove, continua a essere un nemico e un pericolo.        

Citarsi non è elegante, lo so bene, ma per una volta lo faccio. A gennaio, mentre a Rigopiano si scavava nelle macerie e nel ghiaccio, ho definito l’Abruzzo “una regione di montagne governata con i piedi sulla spiaggia, tenendo d’occhio soltanto la politica e le città”. Non posso che confermare, purtroppo. Forza Appennino, forza Abruzzo. Con un grazie, e un augurio di buon lavoro, ai magistrati di Pescara.

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4 Commenti

  1. Grazie, di cuore, a Stefano Ardito, puntuale e preciso come ci si aspetta – e ci si dovrebbe sempre aspettare – da un giornalista, con l’auspicio che possa e sappia seguire una vicenda che non riguarda assolutamente solo gli abruzzesi. Ha anche ragione, quando distingue fra notizie per le quali esultare ed altre da commentare, sì, ma con rispetto.
    Da parte mia solo un pensiero. Sono stato nel Soccorso Alpino per una vita. Oggi, che non ne faccio più parte, posso solo ricordare quanto l’ultimo anno sia stato impegnativo e doloroso per i tecnici della Delegazione Abruzzo.
    Però, a poco serve l’impegno del singolo, a fronte di un apparato burocratico che evidenzia, con impressionante ripetitività, lacune e distorsioni, anche dolose, nello svolgimento del lavoro: pare che in questo disgraziato Paese, rispetto ai doveri di ufficio, non esistano altro che abusi (di ufficio) e omissioni (in atti di ufficio). Della carta delle valanghe, poi, da noi si parla da decenni, si incaricano professionisti, si pagano consulenze, in un finto efficientismo mirante solo al mantenimento dello status quo, delle proprie prerogative e dello strapuntino o poltrona o divanetto conquistati a danno della collettività e in barba alla meritocrazia, da dove, comodamente sistemati, si evita accuratamente di concludere progetti di pubblica utilità, la cui priorità dovrebbe essere dettata dal semplice buonsenso.
    Comincio a pensare che si tratti di una forma di malattia mentale, una coazione a ripetere inconcludente, una rappresentazione da commedia dell’arte, i cui protagonisti sono sempre gli stessi, o i cui tratti caratterizzanti sono sempre gli stessi, riconoscibili. D’altra parte, se non fai parte di una “parrocchia”, non hai accesso né alla selezione della classe dirigente, né tantomeno di quella politica. E il cittadino assiste, impotente, al gioco delle parti, prigioniero di un loop ossessivo… pare di sentire ancora il muratore nell’Amarcord di Fellini: «mio nonno faceva i mattoni, mio babbo faceva i mattoni, faccio i mattoni anche me, ma la casa mia… dov’è?». Dormi, popolo, non disturbare il manovratore.

  2. Che ne pensate del contributo di Marano Viola (Mountain Wilderness, Notizie, 2/2017, p. 16), che ha ricostruito la dinamica della valanga per cui il nuovo alveo che l’ha condotta sull’Hotel sarebbe determinato dalla modifica a monte apportata dalla costruzione della strada provinciale da CAstelli? il sito era sicuro dall’antichità, con una costruzione medievale, ma la nuova strada ha modificato l’alveo naturale dello scarico deviandolo verso l’hotel. Le responsabilità così cambiano di molto e sono precisabili…

  3. Una cosa è certa che tutti gli imputati e chi s’è comportato con superficialità nel gestire l’emergenza oltre a dimostrare una inequivocabile negligenza ha anche sottolineato la propria inidoneità nel dirigere la pericolosa emergenza di Rigopiano, avvalorandosene la scarsa competenza “ soprattutto come Dirigente “ e vivono sonni tranquilli nell’attesa della Prescrizione dei Reati ascritti. Non capisco tra l’altro l’imputazione veniale di lesioni colpose in concorso e non per omicidio colposo, lesioni colpose per la morte di 29 PERSONE !

  4. Grande Stefano!!! Quella espressione “una regione di montagne governata con i piedi sulla spiaggia, tenendo d’occhio soltanto la politica e le città” è più forte di uno tsunami!!!

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