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Donna e rifugista: la storia di Eleonora Saggioro nel cuore dell’Appennino abruzzese

Uno storico rifugio dell’Appennino centrale recuperato e rivitalizzato grazie all’intraprendenza di una donna dal carattere deciso che abbiamo incontrato, davanti ad una birra, in un piccolo borgo d’Abruzzo mentre fuori scendevano le piogge autunnali. Ex attrice teatrale, da sempre appassionata di montagna, Eleonora Saggioro gestisce ormai da vent’anni il rifugio Vincenzo Sebastiani.

Eleonora, quando hai iniziato a gestire a lavorare in rifugio?

Ho iniziato intorno al 1992-93 quando cercavo un lavoro estivo. La montagna era una passione che già coltivavo da anni e che ho avuto modo di frequentare in modo assiduo grazie al CAI di Roma e ai corsi dell’alpinismo giovanile che mi hanno fatto scoprire la realtà del rifugio e la sua essenza di accoglienza e luogo condiviso, posto di tutti che mi ha spinto a ricercare lavoro in queste strutture“.

Quando decidi di diventare gestore?

Nel 1998. Ero davvero molto appassionata e quando si è palesata questa possibilità di gestione mi ci sono buttata a capofitto. C’è però da dire che i primi anni sono stati una sorta di custodia a livello, diciamo, volontaristico con i ragazzi dell’alpinismo giovanile. Dal 2000 è poi cominciata la gestione ufficiale del rifugio in mano alla cooperativa. Una cooperativa che si chiama “equo rifugio” di cui io sono presidente e responsabile“.

Hai dei collaboratori?

“Certamente, attorno a me ruotano tutta una serie di collaboratori e collaboratrici. Ci tengo particolarmente a sottolineare la presenza di collaboratrici donne perché questo ci rende particolari nel mondo dei rifugi montani”.

Quali sono state le prime difficoltà incontrate?

“Nei primissimi anni il fatto di essere forestiera ha inciso molto nei rapporti con i locali. Gli abruzzesi mi guardavano un po’ strano perché dicevano: ma questa che ci è venuta a fare qui. Era un discorso a metà tra questa è venuta a prendersi il nostro lavoro (lavoro che però non voleva fare nessuno perché il Sebastiani era in condizioni pietose) e dall’altra parte si domandavano proprio: perché ci è venuta, cos’avrà mai trovato di interessante in questo posto. Per me però era una situazione eccezionale, un luogo da far rinascere e valorizzare per tutti gli appassionati di montagna”.

Hai avuto difficoltà economiche all’inizio?

“Molte. Era un rifugio che arrivava da un periodo di chiusura e quindi aveva perso il suo giro di clienti anche se, in realtà, non ha mai avuto un grande introito economico. Per questo nei primi tempi la più grande difficoltà è stata trovare un modo per promuovere il rifugio. Ricordo che i primi anni molti salivano e si mangiavano il panino fuori dalla struttura o si stupivano che fossimo aperti nei weekend autunnali”.

A livello logistico invece?

“Anche, soprattutto per una mancanza di abitudine. Cose come l’impiantistica, la gestione dei materiali, la mancanza di acqua, il problema degli scarichi. All’epoca non c’era ancora un bagno, oggi ne abbiamo uno ma rimane il problema acqua. È stato tutto molto complicato all’inizio, ma per me adesso è la normalità. Ora sono acclimatata al vivere lassù”.

Com’è stato adattarsi alla vita in rifugio?

“Non ho avuto particolari difficoltà, diciamo che il problema è stato più degli altri che mio. Soprattutto per chi magari non pensava che una donna potesse prendere in gestione un rifugio”.

Cioè?

“Spesso basta anche che ci sia un lavapiatti maschio e diventa immediatamente il capo della struttura. Anche se entrano in una stanza e vedono me e un uomo lui diventa subito il gestore della struttura, anche se è l’ultimo arrivato”.

Sei anche mamma, come hai gestito la maternità in quota?

“Sono mamma di due bambini nati praticamente in rifugio. Con il secondo abbiamo rischiato anche il parto in quota. Avere dei figli non è un dramma in questo lavoro. Basta organizzarsi. È stata dura perché portare dei bambini piccoli in rifugio non è facile, ma si può fare. Ora sono separata, ma devo ammettere che sono riuscita a gestire il rifugio con due bimbi perché avevo a fianco un compagno fantastico che ha dovuto accantonare un po’ il suo lavoro per darmi una mano lassù. Adesso che sono cresciuti vedono il rifugio come una casa. Quello grande viene a lavorare lassù in estate e quella piccola starebbe sempre là”.

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