Alpinismo

Il Mio Everest: UELI

Testo e foto di Davide Chiesa, alpinista e scrittore, nato nella pianura piacentina, ma appassionato di montagna da sempre. Documentarista e film maker, appassionato di fotografia, amante dell’alpinismo classico sulle Alpi ed Appennini negli ultimi anni ha partecipato a varie spedizioni in Himalaya e nelle Ande (www.comunicamontagna.it)

Eravamo vicini di tenda. E parlava italiano.

Mi ha accolto, ci vedevamo spesso. Già ci conoscevamo da un paio di interviste che gli avevo fatto in passato. Abbiamo parlato a lungo ed in tante occasioni di trucchi, di abbigliamento e altro, mi ha fatto entrare nella sua vita di spedizione, nella sua tenda. Ci divertivamo a fare le trazioni con gli sherpa sulla barra di alluminio davanti alla sua tenda, da lui costruita. Anche lui apprezzava un po’ della mia compagnia.  Sto soffrendo per ciò che è successo. Per avere visto i suoi ultimi sorrisi e i suoi occhi azzurri, semplici e generosi con me nonostante fosse il più forte alpinista al mondo.

Aveva fiducia in me ed io non lo ho tradito, altri avrebbero sfruttato facendo articoli su media e foto ecc, intendo dire prima che morisse, ed anche subito dopo, con tutte le sue cose mai scritte che mi raccontava. Io non lo ho fatto, l’intervista che dovevamo fare l’ho sempre rimandata. Non era il mio di stile. Avevamo in programma di realizzare anche “L’intervista più alta della storia” oltre gli 8000 metri, un’idea che a lui piaceva. Aveva capito che ero un alpinista semplice e appunto perché sono alpinista il mio obbiettivo era prima la montagna, come lui, senza distrazioni.

Immediatamente dopo la sua morte in tanti mi hanno chiesto di scrivere di lui, ma non mi andava. Mi sarebbe sembrato di tradirlo. Sono stato l’ultimo occidentale con il quale si è rapportato direttamente negli ultimi giorni.
Forse non ha saputo cogliere l’infortunio alle mani del suo sherpa come un monito, chissà. Cimentarsi con una parete – quella del Nuptse-  così lunga e ripida da solo, senza corda. Quello era il suo alpinismo. I “se” ed i “ma” ora sono superflui. Sono triste.

È il 30 di aprile, mi trovo giù in valle a Pamboche, ad allenarmi in basso perché ormai è da un mese che sono al Base ed ai campi alti. Quando Ueli è caduto mi trovavo al campo base dell’Ama Dablam. Spero quando ritorno al Base di non rivedere più la sua tenda. Sarebbe troppo struggente. Quando passerò fra pochi giorni, sotto la parete del Nuptse, chissà se sentirò la sua anima. Perché sicuro è rimasta lassù. E spero che mi accompagnerà in vetta.

Nel prossimo racconto, vi parlerò della magia del Nepal. 

Per leggere il racconto precedente, QUI

Tags

Articoli correlati

2 Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button
Close